Tra le cose che fanno parte della mia
coscienza bambina, quella che ricordo con maggior limpidezza è l’ansia
che mi generava la pubblicità dell’aiz.
O superman di Laurie Anderson, i contorni viola che
sottolineavano figure in bianco e nero da film di Murnau, la voce
cavernosa fuori campo, quel tipo di voce con il timbro che ogni bambino
immagina abbia una delle persone da cui le mamme insistentemente lo
mettono in guardia, insomma, l’esatta voce che ha lo sconosciuto che ci
vuole dare per forza, così, gratis, le caramelle.
Quel che però faceva vacillare una mente ammorbidita dall’assidua visione di Mila e Shiro è il passaggio della siringa dal brutto ceffo di sinistra al brutto ceffo di destra, chiusi entrambi in un bagno sporco.
La siringa, per una bambina di 6 anni è l’inferno.
Tra l’altro, d’estate, genitori e nonni erano tutti uno jodel di
“Attenti a dove mettete i piedi, possono entrarvi le siringhe nei
sandali”, che già uno odiava i sandali perché a scuola i bambini con i
piedini in vista erano il bersaglio preferito per ogni sorta di insulto,
se poi ci associ la paura di essere punto da aghi infetti fai croce
nera su tutto ciò che non è una Dottor Martens in acciaio inox.
Tornando allo spot, ci faceva paura. Io chiedevo a mio fratello, tra
l’altro di quasi 3 anni più piccolo di me, di non lasciarmi sola durante
la trasmissione di quella pubblicità. Non osavo cambiare canale perché
la solennità di quei 50 secondi di terrore aveva generato in me la
convinzione che fosse necessario sentire lo spot fino in fondo.
Cominciarono le paranoie. La consapevolezza che l’AIDS non si vede ma sta crescendo. Erano
tempi di frequenti lavate di mani, mani che tenevamo sollevate come
fossimo chirurghi in procinto di operare. Erano tempi di silenziosa
paura di morire, non osavamo parlarne con i nostri genitori,
potenzialmente l’aiz potevamo averlo tutti. Anche noi. Perché poi io
personalmente avevo tutte le cassette di Esplorando il corpo umano e
lì si vedeva chiaramente che i virus, oltre a parlare, hanno una
preoccupante motilità: potevano raggiungerci senza problemi. E la cosa
ci faceva sentire in colpa. Non sapevamo cos’era precisamente l’Aids. Mi
chiedevo se la fluorescenza viola fosse visibile ad occhio nudo. Avevo
in testa i gemiti di quella canzone che immaginavo cantata da un gruppo
di uomini pelati, magri e ricurvi intenti a camminare in cerchio in una
stanza, molto vicini alle pareti.
Poi oggi ci sono incappata per caso e niente, sembra di sentir parlare Ruini.
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